Come tutti gli anni, nel giorno della Memoria, ci troviamo qui davanti alle ceneri dei deportati nei campi di sterminio, voluti dalla barbarie nazista, cui l’alleato fascista non solo non seppe opporsi, ma addirittura fu attivo complice dell’immane crimine. E’ un momento di particolare commozione cui, anche questa volta, non ci è possibile sottrarci.
La Shoah costituisce una delle più orribili tragedie della storia dell’umanità, per essere stata non solo deliberata, ma pianificata e attuata con metodi industriali per perseguire l’obiettivo delirante della “soluzione finale della questione ebraica”.Ed essa continua a pesare come un macigno sulla coscienza dei popoli che a vari livelli di responsabilità vi presero parte o non seppero impedirla.
Appare, quindi, del tutto aberrante e forse anche il frutto della follia dei tempi ( tutte le epoche conoscono momenti in cui la razionalità si eclissa), che alcuni sciagurati “no-vax” abbiano osato paragonare la tragedia della dittatura nazista e dei campi di sterminio, alle odierne e necessarie politiche di contenimento della pandemia da Covid,deliberate in un quadro di democrazia, a causa delle necessarie temporanee limitazioni, che hanno comportato ad alcune delle nostre libertà, per la salvaguardia della salute di ciascuno di noi. Compresi coloro che, novelli Don Ferrante di manzoniana memoria, hanno negato l’esistenza stessa della malattia, con tutte le gravi conseguenze per la pubblica incolumità che purtroppo conosciamo.
Consentitemi, ora, dopo tanti discorsi tenuti in questo luogo negli anni passati, di ricorrere questa volta all’ausilio della letteratura. Sono usciti, anche ultimamente, tanti libri che narrano dell’immane tragedia, di cui la ricorrenza del 27 gennaio mantiene viva la nostra memoria. Ne ho scelti tre, tra i più recenti.
Il primo narra della storia di Maiti che dovette attendere quarant’anni per perdonare il suo aguzzino. E’ la primavera del 1984 squilla il telefono di Maiti Girtanner. “ Sono a Parigi, vorrei incontrarla”. La donna ha un sussulto: sono passati quarant’anni dalla Seconda guerra mondiale, ma quella voce per lei è inconfondibile. E’ quella di Léo, il medico tedesco che per mesi era stato il suo aguzzino, in una villa requisita dai nazisti dove era stata rinchiusa per il suo ruolo svolto nella resistenza. Ventunenne, aveva patito in quelle settimane dure persecuzioni, in continui esperimenti per valutare nuovi trattamenti per far confessare i prigionieri della Gestapo.
Ne era uscita in fin di vita portando sul corpo per sempre i segni di quella sofferenza, che l’avrebbero forzata anche a due terribili rinunce, suonare il piano e avere figli. Léo la cercava perché era malato e il timore di morire senza avere il tempo di rivedere quella donna lo aveva buttato in macchina dalla Germania alla Francia per fare i conti col suo passato. “ Non ho mai dimenticato”, furono le sue parole, ”ciò che lei disse ai miei altri prigionieri riguardo la morte. Sono sempre rimasto stupito per il clima di speranza che lei aveva instaurato, anche se le vostre prospettive non erano certo incoraggianti. Adesso ho paura della morte. Desidero capire meglio”. Maiti lo incalzò: “ Si rende conto di ciò che ha fatto?”, lui si difendeva con ragioni storiche, ma il suo pentimento era sincero. “Lei parla del Paradiso promesso da Dio. Sono di origine cristiana. Crede ci sia un posto in Paradiso per le persone come me?”, chiese lui. La risposta di lei, oltre che nelle parole sta nel bacio che gli diede sulla fronte per perdonarlo, liberandolo dal peso di una vita, tanto che tornato a casa, confessò ai suoi familiari quel male terribile che mai aveva voluto rivelare. “ Maiti, resistenza e perdono” Itaca editore.
Il secondo. “ Lei non crederà mica che io mi metta in fila dietro a degli ebrei?”, urla in dialetto viennese Sebastian Geringer all’ufficiale tedesco che gli chiede perché era entrato bruscamente, senza farsi annunciare come tutti gli altri. Il nazista si intimorisce, cerca giustificazioni, compila il visto d’espatrio e il bisnonno dell’autore si salva. Alla seconda e terza generazione, cioè ai nonni e ai genitori di Oliviero Stock, nato nel 1950 a Trieste, andrà in maniera ancora più avventurosa, con situazioni al limite dell’incredibile. Così tre generazioni di ebrei riusciranno a farla franca, “in barba a Hitler”.Nell’Europa occupata dai nazisti, spiega l’autore, a una famiglia ebrea servivano principalmente tre cose: una spiccata intelligenza, quell’istinto che ti fa percepire il senso reale del pericolo e abbondante denaro. Per comprare, viaggiare, corrompere, falsificare o soltanto per contare qualcosa agli occhi dei nazisti. E soprattutto tanta fortuna.
E’ sempre utile narrare le vicende drammatiche delle famiglie ebree che riuscirono a sfuggire al Male Assoluto anche per le implicazioni politiche dell’oggi : l’antisemitismo in Europa e i respingimenti. E di ieri: le gravissime corresponsabilità di Mussolini e del fascismo nell’implementare la Shoah. Senza dimenticare la conferenza internazionale di Evian del 1938, dove gli stati europei, compresi paesi democratici come Francia Svizzera e Gran Bretagna, fecero a gara per negare il diritto di asilo agli ebrei in fuga dal nazismo e dal fascismo. “ In barba a H.” Bompiani editore.
Il terzo, non è un libro a dire la verità, ma un saggio pubblicato recentemente da un giornalista e blogger, Leonardo Bianchi.
Nel 1903, su un quotidiano ultranazionalista della Russia zarista fanno la loro comparsa per la prima volta i ”Protocolli dei Savi di Sion”, un testo che descrive una gigantesca cospirazione giudaico- bolscevica per dominare il mondo, macchinata dai cosiddetti Savi. Smascherati come un clamoroso falso, i “Protocolli”ottennero comunque il loro obiettivo: fomentare i sentimenti antisemiti in Europa contagiando in particolare la Germania e arrivando a essere una vera e propria “ licenza per un genocidio”. E però dalla comparsa dei “Protocolli” a oggi le teorie del complotto si sono diffuse mutando e ramificandosi attraverso i decenni, esplose poi negli ultimi trent’anni grazie alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Leonardo Bianchi fornisce una mappa dei fenomeni in cui si tengono, si intersecano ed evolvono le teorie più bizzarre. L’autore non assume le vesti dell’accusatore, ma si addentra in questo vasto labirinto con un’andatura da reporter , sgranandoli uno a uno. Ciononostante emerge un universo di orrori e catastrofi in scala, che vanno dall’11 settembre, all’omicidio Kennedy, alle cospirazioni di massoni e Illuminati, fino ai “supercomplotti”, agglomerati di più teorie, di cui viene fornito un lungo elenco che comprende il dominio dei rettiliani, “il genocidio dei bianchi”, il 5G, il Nuovo Ordine Mondiale, Bill Gates, “il marxismo culturale” e, naturalmente la pandemia.
Un vasto terreno sul quale conquistare lo spazio pubblico da parte delle destre estremiste, protagoniste di eventi come le proteste “no vax” e l’assalto a Capitol Hill, fino a disparati gesti di violenza da parte di privati cittadini. La verità che resta al fondo del testo è il ritratto di una società estremamente fratturata, pronta a credere a qualunque teoria sembri donare un senso al caos che domina quest’epoca e dove i valori della libertà e della giustizia sociale fanno molta fatica a essere riconosciuti, ma che dovranno essere preservati in ogni modo, pena il ritorno,Dio non voglia, in forme diverse dal passato ma altrettanto pericolose, a una nuova epoca, dominata dal sonno della ragione.
Carlo Salvioni
Presidente del Comitato